Poesie dalla Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla

foglio penna scrivere

Dal Laboratorio della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla del 15 marzo 2025, testi selezionati dal professor Umberto Piersanti.

Oro rosso

Rami su rami, sfondo cielo su questa doppia pelle che riecheggia di emozioni.
Ho scelto di nascere non amata e vado verso il perdono.
Innamorarsi nel qui e ora è perdere riferimenti,
avere una sola ossessione in testa,
vibrare di alchimia.
Poi arriva la consapevolezza, il prendersi cura, la scelta dei difetti.
La tenerezza mantiene tra le mani una fragilità persa.
La completezza vuole i dettagli del quadro d’insieme.
Il sostegno tiene su cocci rotti di memorie precedenti.
Amare è una non condizione che scioglie ogni dolore,
che guarda attraverso,
che cura.
Vedo solo mondi possibili.
La speranza è la prima a vivere.

Selvaggia Cecarini


*
Le attese rovinano gli occhi
cambiano velo alle parole
scrostano il muro
al passo lento del cammino
nella notte che attraversa
il bagliore del tuo piccolo seno

ti ricordi il vestito leggero
fuggito alla vista tra neve e gelo
l’ingenuità delle mie mani
nel tempo di un cuore malandato?

abbiamo coccolato l’anima
fino a sentirne la voce nuova
succhiato il resto all’ultimo balbettio

cercando di fare del domani
un giorno non come un altro della vita.

Roberto Casati


Doppio filo

Sconfina
il tuo sorriso
intatto
nella foto

sorriso che
sovverte questo tempo

ci ritroviamo
insieme là
nell’antico Tempio*

nel buio della sala
mentre“Zabriskyie Point” scorre
sullo schermo

nel gusto della Sacher servita
a un tavolino
di quel locale
in centro

nello scompiglio
che della vita
ne riconosce il segno

rimane adesso
un rigido silenzio
e un tempo ignoto
e la mancanza
tessuta a doppio filo nell’ordito
che nella trama
svela lo sgomento

Febbraio 2025

Ilda Mecozzi

*(E’ il Tempio di Giove Anxur I sec a. C. a Teracina)



La trattativa

Ancora adesso
(se è vivo)
il mercante siriano si chiede
com’è ripartito da Itaca
vendendo la merce a metà prezzo.
Durante la trattativa
Ulisse
sembravi distratto
ma non era vero.
Erano per me
lo sguardo divertito e ironico
e quel sorrisetto compiaciuto
che ho baciato mille volte.
Svelta di parole intelligente scaltra
ero come mi volevi:
uguale a te.

Paola Deplano

Come sempre

Giungi all’angolo d’una strada buia,
come sempre, resti a lungo in attesa,
coi tacchi alti, senza volerlo, oscilli,
tra il terminal bus e la stazione vecchia,
ronzano le moto che dalla notte
giungono a tradimento, a un crocevia
le italiane derelitte che forse
sono state giovani, strette attorno
a un focaraccio, prima del viavai,
quasi sempre, vai incontro a una città
che ti ricopre d’insulti, d’argenti.

Sotto la pioggia inchiodato all’incrocio,
a volte, ti protendi verso il mondo,
e osservi, osservi a lungo nel fondale
un guizzare di corpi malandati,
una frenesia di luci abbaglianti,
e prima d’un parcheggio semivuoto,
dai forma ai silenzi in fondo a ogni nome.

A volte, invece, lasciato alla luce
di un’insegna a scintillare sull’orlo
del fiume di automobili bluastre,
t’affacci al finestrino, e scruti giù,
come se ti protendessi sul vuoto,
scruti giù, in fondo, a ogni umana miseria.

E le notti susseguono alle notti
di nuovo di tutto devi aspettarti,
più in là, fa chiaro a sbuffi, e le volanti
girano a vuoto nel cerchio dei ladri,

i bagliori di spari in lontananza,
qui e ora, brilla alla luce dell’estate
l’automobile blu a sirene spiegate,
spaccandoti il silenzio in tanti sguardi,
si sbracciano le giovani dell’est,
se ne vanno branchi in ricognizione,

e allora corri, corri a piedi nudi,
rasentando questi muri, ti volgi
e corri sulla ruggine dei prati,
sull’asfalto cosparso di siringhe,

nell’ingorgo anonimo del mattino,
con una ferita ancora visibile,
esci da una ridda di voci, vai
verso la città invisibile, come
sempre, con un ostentato amaranto.

Febbraio 2025

Marco Di Genova

Antico amore

Mi era parso il rifugio
oltre il rimbombo del pieno

Aggrappati come appena nati
capriole nell’aria
facevano del vuoto amore

Mi era parsa l’eternità
in mattine nuove

Gabriela Silenzi

Marina

***
arrivo a te attraverso
la carne, nelle arterie
che lì si rincorrono

polveriera d’incanti
marasma di viandanze
dell’essere vivi

cura e non veleno, per te
che dici di me
essere la tua medicina

Marina Baldoni

Di cadenzate giornate

La luce del sorriso tra vessilli
chioma bionda su fiore sbocciato,
abbrivio di tenerezza percepito
tra stordimenti e inquietudini.
Con il futuro ancora in pausa
le storie fanno giri larghi
prima di incrociarsi,
ognuno sviluppa percorsi propri
amori e illusori sbocchi.

Esili fili sotterranei
rimasti latenti nel tempo
tornano poi a unirsi
come quelle corde che
nelle scalate di montagna
ti assicurano la vita
portandoti sulla vetta.

Al declinare dell’estate
rimirammo insieme
da quelle alture le acque
rilassate dello Ionio,
garante complice e benevolo.

Oggi accerchiati dal passato
tutto è naturalmente più quieto
come un velo di luce che dissolve
nell’ombra, così il nostro tempo
tra sussulti e consuetudini
si consuma lentamente
tra distanze infinite di stelle.

Di cadenzate e placide giornate
è fatto anche l’amore.

Giovanni Galeone

Qualcosa è cambiato

la prerogativa
coincideva con l’amore,
si diceva che il nostro
fosse speciale

lo dicevano tutti,
un passo dopo l’altro
nessuno obiettava
sulla sua riuscita

se c’era qualcuno
o qualcosa da capire,
ecco, si faceva
ciò che si poteva

non parliamo
di parole forti
e un poco in disuso,
ma di pensieri

dell’ultimo tempo
dell’ultimo giorno
dell’ultimo anno,
due rette equivalenti.

Poi venne il silenzio,
con lui l’inverno
su ogni vetro
della nostra casa,

su ogni ramo,
su ogni bacile
contenente acqua
in quel giardino.

Ma all’interno,
ogni pensiero
regalato
a quelle mani
prosperò.
Così anche ora

che io sono
e tu invece
non lo sei
parleranno
quei pensieri

ma del gelo non m’importa,
se ora scioglie
scorra pure,
ma in eterno

18-02-2025 / 9-03-2025

Emanuela Capodarco

Per la ragazza dai capelli raccolti

Nel quieto borgo nascosto
ci incontrammo
“Galeotto fu il libro” (1) (D.Alighieri)
di poesia in mano
e un esplosione d’amore
corse tra i vicoli,
le acque dei canali veneziani
Pietroburghesi e di Suzhou (2)
sono flussi sanguinei nelle vene
in un amore celato.
Venuto dal nulla ritornato nel nulla.
L’ingorgo delle emozioni
sentimenti d’amore
acque placide,
sorridenti i tuoi occhi lucenti
sono cristalli di TORMALINA incastonati
nel tuo amabile viso,
originato da un dipinto di Giotto,
nella penombra
i tuoi capelli raccolti, ostentano
la tua bellezza fiorente
e tra essi intravedo
una ghirlanda di fiori d’ortensie.

(dal 16-2 al 9-3 – 2025)

Ismaele Vipera


1) Parafrasi del verso del Sommo Dante Alighieri dal canto Inferno (galeotto fu ‘l libro, e chi lo scrisse)/(galeotto fu il libro di Poesia in mano)
2) Suzhou (città cinese con l’appellativo di “Venezia d’oriente)
Poeti d’ispirazione: D. Alighieri, D.Andry (Svizzera), G. Carducci, J. W. Goethe,
R. Dapunt, U. Piersanti, A. Zanzotto, G. Ungaretti.
Pittore: Giotto (Firenze)

Larianella

È sorto mesto un sogno
quando al timone
seguivo i miei pensieri
su una barca in
un mare senza onde.
E ti alzasti dal tuo posto
le labbra mi baciasti
deviando per sempre
la mia rotta.

David Chiucconi

Questo componimento è un episodio di un amore giovanile evocato da un sogno, mentre seguivo il profilo della costa del Conero su di una barchetta con un’amica, ignaro dei baci che avrebbero poi modificato la mia rotta per sempre

Abbiamo obbedito alla legge
sconosciuta degli amanti
– un comando senza coscienza, il nostro –
mancavamo di una responsabilità adulta.
Siamo caduti di fonte al muro, fucilati,
niente diritto di sepoltura per noi fuggitivi.
Nascosti tra queste montagne senza sguardi,
per anni mutilati dall’indifferenza
data solo agli stranieri e lì, dove c’era la strada,
adesso c’è un buco enorme. Ma dimmi,
come fai a fare finta del niente rovesciato?
Ce ne stavamo zitti, ricordo, mentre il gelo
ci asfaltava. E allora restiamo un’accondiscendenza,
un patto venuto meno alla promessa sorda,
quel cesto di ciliege lasciato incustodito
dopo la grandinata.

Silvia Gelosi

Venne un giorno appeso in cucina
lo scatto,
e lì rimase per così tanti anni
che è là sul crudo muro, riverniciato
che cerco ancora il tuo sguardo affaticato.

Inclinato, adesso, giù nel ripostiglio ripiegato,
su una vecchia credenza, come dimenticato,
che io ti scovi, che io torni,
forse tu mi attendi adagiato.

Un aereo ritratto della casa,
scattato in volo,
reclinato oramai, preservato
da un finissimo velluto di polvere,
quasi esalato.
Ma quel manto non basta, quell’incanto,
a offuscare come perturbato
il siamese maturarsi del viso,
proteso,
su quel riflesso impolverato.

Oltre il vetro, oltre il tempo,
piccolissimo mi osservi, come fossi io l’alieno.
E io non so
se ti riconosci
in questo postero specchio umano,
donna e solo, quasi trasfigurato.

Sei lì all’angolo in basso, con gli abiti dell’orto,
e mi viene da chiamarti ancora:
“Nonno!”


Sharon Ranzuglia

Un’ombra generosa mi veniva accanto
appollaiata si faceva scudo
dei miei pensieri più cari
Era bello passeggiare e farsi obliterare
La sua sana protezione mi colorava
ero un fiore appena sbocciato
guardavo i boccioli che mi passavano
accanto – Si aprivano e come angeli
si coloravano e si gonfiavano
Non sapevano morire
e l’alba li trovò seduti e spogli
nel giardino della vita

Susy Gillo

di quale luce tu che scorri
nel mio tempo e accadi
ora che il fiume raccoglie
la distanza giusta nell’amore

– proporzione sacra
il respiro, il mutuo specchio –

balugina tra gli occhi
una candela, ombreggia
i sassi delle sponde

scalda la piena del silenzio.

Erika Signorato

Come senza

Rendimi la vita
mio corpo che è tuo
Ridammi la luce
Si spalanchi la fossa
non più le ossa
Ma i denti bianchi
del sorriso e le braccia
le nostre a serrarci
ché vogliono volare,
i santi cuori, salvi
nel tepore del ritorno

Cinzia Canale

2 febbraio 2025, in memoria della Strage di Forte Bravetta avvenuta 81 anni prima.

Poesie della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla

fiori libro

Dal Laboratorio della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla del 15 febbraio 2025, testi selezionati dal professor Umberto Piersanti.
 

Di questa tomba guardo i fiori secchi
fucilati sul nero della terra aperta,
le foto salvate di un altro corpo
di me sottosopra, con gli anni
raddoppiati sullo specchio che mi umilia. 
Le piccole frane sono pietre
nascoste, in inverno, sotto gli alti colli
dei maglioni. D’estate no, invece.
I mesi di scorta tengono a bada
questo letto di vene rotte, il sole
compensa quel nutrimento fatto di briciole, 
di echi dispersi dietro alle vetrate.
La china sbiadisce signori miei, come la sera,
quando taglia la luce e forma
righe verticali sui muri già rovinati. 
Mi lascio esistere, senza una vita di scorta. 

                                                                            Febbraio 25

Silvia Gelosi

Sant’Orsola

la signora
delle pulizie
con le mani d’oro
svuota cestini
vende pappagalli,
ma a noi li regala,
solo se vogliamo

veri, non per orinare
lei e il suo compagno
allevano Ara,
ere-ire,
l’acca va a dormire
in fondo orinare
è termine elegante,
dal greco antico

quel giorno Attilio
scomparve dal suo letto,
se n’era tornato
a curarsi in Puglia,
sua terra natale

diceva la signora,
quella dei pappagalli-
bisbigliavano i cestini-
che era poco distante:
nella cappellina

in fondo anche questo
è termine elegante,
dal latino mortŭus,
participio perfetto
del verbo morire

                             4/12/2024-12/01/2025                                                        
Emanuela Capodarco

Roma

Passeggio sospeso nel tempo
leggero e stanco
il TEVERE ho attraversato
non chiedere da quale ponte
faceva molto caldo
il “dado è tratto”(Alea iacta est 49A.C)
le ansie  lo stress evaporano
in queste ancestrali strade.


                                                        12-18/01/2025                                                             

Ismaele Vipera

Alea iacta est (Giulio Cesare 49 A.C.)
Il dado è tratto oppure i dadi sono tirati.

*

Le attese rovinano gli occhi

cambiano velo alle parole
scrostano il muro
al passo lento del cammino
nella notte che attraversa
il bagliore del tuo piccolo seno

ti ricordi il vestito leggero
fuggito alla vista tra neve e gelo
l’ingenuità delle mie mani
nel tempo di un cuore malandato?

abbiamo coccolato l’anima
fino a sentirne la voce nuova
succhiato il resto all’ultimo balbettio

cercando di fare del domani
un giorno non come un altro della vita.

Roberto Casati

A Nadia

<<tutta la vita è stata un esercizio per tornare al tuo corpo
caldo come la terra>>. (Maria Grazia Calandrone).

si allungavano le ombre a pelo d’acqua
si lasciavano cadere dal ponte,
mentre tutti guardavamo quel corpo
nudo, tu guardavi il mondo nel grembo

a notte alta, nella città deserta
da sola camminavi a passo svelto
sempre, sempre a un passo dall’insaputo
inciampavi nel presente, nei corpi

segnata a dito alla cieca venivi
avanti eppure era mattino ancora
te ne stavi in piedi a scrutare nulla,
nulla o poco facevi quando ancora
frenetica intorno a te s’aggirava
la moltitudine che sconfinava,
che ti teneva lontana dal mare,

e restavi a lungo in profondità
e sul corpo non vennero trovate
tracce di violenza né lividure
sulle braccia innumerevoli buchi,

più cattivo era il dolore di ognuno,
più e più alta su dagli angoli t’ alzavi
innumerevoli volte là dove
c’erano creature d’ogni sorta
il brusìo di colpo si placava,
mentre con il tuo passo spedito
d’intorno trascorrevi quell’estate
che passava di te vociferando

                                                                                   gennaio 2025                             

 Marco Di Genova

Poesie della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla

libri di poesia

Dal Laboratorio della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla dell’11 gennaio 2025, testi selezionati dal professor Umberto Piersanti.

Limina                                                                                                                                          

amami a Ponterosso
questa sera,
due sorsi di blues
e il mio nome,
il tramonto
slacciato sulle labbra,

sillaba un adagio
alla vita che non vede,
il giorno nel segreto
a bagliori chiusi

– è troppo freddo
il gusto della pelle
se mi risvegli presto,
aspettami in quell’accordo
senza risoluzione,
non voglio che arriviamo
dove muore il sole –

amami a Ponterosso
questa sera,
crederemo insieme
alle ombre controtempo,
all’alba che lusinga.                                                                                                                                                                                                      Trieste

Erika Signorato

Nebbia bassa sul fossato
nessun volo tra le nubi

il canneto non fiata

echi di parole divorate
s’intrecciano fra i rami nudi

Io sento

Gabriela Silenzi

Consulto il calendario

Consulto il calendario
ma il modo
il come
il quando
non mi è dato

mi perdo in questo stato provvisorio
qualcuno è già partito
qualcuno è già avvisato

il tempo
si fa tempo che rimane
non dice la scadenza
la vita annotta
così che a poco a poco 
ce ne andiamo

e come “un vizio assurdo” che permane
il tutto
in un momento è tramutato

Lei sempre arriva
e sempre inaspettata
varca il confine
nell’ultimo respiro
e ciò che prima era
 ora non è                                                                   

Mecozzi Ilda

Trento, centotrenta

 Vissuta intensamente tra l’orto
e la strada, ubicata tra uno
stabilimento vinicolo e altri
modesti domicili da cui uscivano
ragazzi come numeri al gioco del lotto.
Poche stanze, dormite in comune,
un caminetto e due bracieri per
un pò di calore, bagno esterno
con contorno di calle e rose,
autospurgo a cadenza trimestrale
come un estratto conto bancario.
Tende di legno e tende di bambù
arrotolate d’inverno, srotolate d’estate
a ombreggiare le stanze dalla luce 
delle calde estati degli anni sessanta.
L’Epifania portava cavalli a dondolo,
trenini elettrici, calciobalilla per
allietare l’inverno assieme ai compagni
di giochi, primordi di amicizie
che hanno superato l’usura del tempo,
prima dei tepori marzolini
alternati quasi sempre da fragorosi
scrosci d’acqua tra boati e fulmini.
Modesta e spartana, fu la dimora
più amata, in via Trento al centotrenta.

Giovanni Galeone